Guida in stato di ebbrezza. Che fare?

La disciplina dettata dall’art. 186 CdS e le scelte in ambito penale.

di Debora Zagami

Può accadere di mettersi alla guida di un veicolo pur non avendo la piena lucidità psicofisica in seguito all’uso di bevande alcoliche. Talvolta per superficialità, spesso per non rinunciare all’ultimo brindisi in compagnia, quasi sempre perché si sottovalutano le conseguenze delle proprie azioni e si confida nel fatto che le probabilità di essere sottoposti a controllo sono minime.

Le motivazioni posso essere le più varie e sicuramente dietro ogni contravvenzione per guida in stato di ebbrezza si annida una giustificazione apparentemente plausibile che ha spinto il conducente a mettersi al volante nella convinzione di fare la cosa giusta in quel momento.

I parametri stabiliti dalla norma per definire lo stato di ebbrezza sono definiti nell’art. 186 del Codice della Strada, un articolo talmente ricco di indicazioni che sarà sufficiente leggerlo per comprendere come è disciplinata la materia.

Grazie alla sconfinata mole di informazioni reperibili in rete, tutte le persone che si rivolgono ad un avvocato per ricevere assistenza dopo aver ricevuto una contestazione inerente la guida in stato di ebbrezza, conoscono il contenuto dell’art. 186 quasi alla perfezione, ma ciò non basta per scegliere con cognizione di causa la giusta strategia difensiva. Soprattutto quando la soglia di grammi di alcool per litro di sangue supera il limite di 0,50 e si debba affrontare un processo penale, con tutti gli annessi e connessi di una eventuale condanna.

Fornire un parere legale rispetto alla prospettiva di un processo penale comporterebbe l’analisi di una tale serie di variabili di natura oggettiva e soggettiva, che sarebbe impossibile per chiunque farne un sunto in un articolo divulgativo.

Ed allora cosa fare?

Quel che si deve fare quando ci si trova coinvolti in un procedimento penale per guida in stato di ebbrezza, è rivolgersi ad un avvocato, sia per descrivere la dinamica dei fatti (come si sono svolti; chi ha assistito come testimone; chi e come hanno operato gli accertatori) e sia per confrontarsi sulle specifiche esigenze personali (esistenza di precedenti; necessità lavorative ecc.).

Il nostro codice di rito, infatti, offre molteplici modalità di definizione del processo e per individuare il percorso migliore è indispensabile affrontare la scelta con l’ausilio di un professionista che abbia una visione complessiva della materia e delle ripercussioni che una eventuale condanna potrebbe produrre nei più disparati ambiti.

Ogni decisione in merito alle attività da compiere (o da non compiere) non può prescindere dal vaglio tecnico che soltanto un professionista esperto può esprimere e concordare insieme al cliente (rilasciare o meno dichiarazioni spontanee alla Polizia Giudiziaria; raccogliere elementi di prova a discarico; vagliare con attenzione i verbali relativi agli accertamenti tecnici eseguiti e via dicendo… ).

In linea di massima l’Autorità Giudiziaria procederà con l’emissione di un decreto penale di condanna con il quale è irrogata una pecuniaria (generalmente condizionalmente sospesa) e la persona riceverà la notificazione di questo atto che a prima vista sembrerebbe privo di ulteriori conseguenze, con l’avvertenza che diverrà definitivo in caso di mancata opposizione nel termine di 15 giorni.

Prima dello spirare del termine sarà fondamentale consultare un avvocato per comprendere se la condanna irrogata inaudita altera parte rappresenta davvero la soluzione migliore.