Condannato ultrasettantenne e detenzione domiciliare

Corte di Cassazione, Sez. 1^ Penale, sentenza n. 15600/2024

di Debora Zagami

Nel corso del procedimento instaurato su istanza di parte per la concessione della misura alternativa dell’affidamento in prova ai Servizi Sociali, l’imputato compiva i settanta anni di età, ma il Tribunale di Sorveglianza di Roma, al quale era stata presentata anche istanza di detenzione domiciliare, rigettava la richiesta di affidamento in prova e dichiarava l’inammissibilità della detenzione domiciliare, adducendo in motivazione che la pena da espiare era superiore ai due anni di reclusione.

Il condannato, come detto, aveva compiuto i settanta anni ancora prima della celebrazione dell’udienza di trattazione innanzi al Tribunale di Sorveglianza, dunque il superamento della soglia dei due anni non poteva essere motivo sufficiente per rigettarne la richiesta.

Per tale ragione ho presentato ricorso per Cassazione eccependo la violazione di legge, risultando omessa ogni valutazione sulla possibilità di applicare la  detenzione domiciliare prevista per i soggetti che al momento dell’inizio dell’esecuzione della pena abbiano compiuto i settanta anni di età.

La lettura dell’ordinanza impugnata evidenzia che questa è calibrata, per la quasi totalità delle argomentazioni svolte, sull’assenza dei requisiti per concedere la più ampia misura dell’affidamento in prova.

Detta misura, invero, è indicata come implicante spazi di libertà incontrollati, non adeguata a soggetto non massimamente affidabile, rimarcando l’inesistenza di elementi rivelatori di un esito positivo dell’affidamento, in assenza di una possibile prognosi di reinserimento vista la radicale devianza e l’esistenza di pendenze indicate dagli accertamenti di Pubblica sicurezza.

Invero, è noto che la concessione del beneficio dell’affidamento in prova al servizio sociale l’art. 47 Ord. pen., implica la sussistenza di presupposti, da accertare con modalità particolarmente incisive e rigorose, non previsti in modo, del pari, categorico per la concessione della misura alternativa della detenzione domiciliare, ritenuta, in sostanza, dal legislatore applicabile qualora non ricorrano le condizioni per far luogo all’affidamento in prova e concedibile sulla sola base dell’idoneità della misura ad evitare il pericolo della recidiva.

La detenzione domiciliare, nelle varie ipotesi previste dall’ordinamento penitenziario, presuppone sempre una prognosi positiva e la meritevolezza del condannato, al pari di tutte le misure alternative, pur non esigendo, così come non la esige neppure la più vasta misura dell’affidamento in prova al servizio sociale, la completa emenda, che costituisce, invece, la finalità della misura e del trattamento.

La detenzione domiciliare si distingue, però, dall’affidamento in prova per la maggiore affittività e la maggiore idoneità al controllo della pericolosità sociale residua del condannato, che normalmente persiste, poiché, in caso di già completa emenda, potrebbe accedere a superiori benefici.

(Corte di Cassazione, Sez. 1^ Penale,  sentenza n. 15600/2024)

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